Il Santo pellegrino

 

Di Patrizia Solari

 


Mentre scrivo, il Giubileo si avvia alla sua conclusione, ma la rivista sarà letta all’inizio del nuovo anno. Allora ho pensato di presentare un santo che ci ricollega a uno dei temi forti del Giubileo, il pellegrinaggio, e sottolineare così che la significativa esperienza vissuta nel corso del 2000 non si chiude con il 31 dicembre. Il santo pellegrino ci ricorda inoltre una posizione umana, quella della mendicanza, che ci spalanca agli imprevisti doni che il Signore mette sulla nostra strada.

Gli inizi e il richiamo della Trappa

 

Benedetto Giuseppe Labre era nato ad Amettes, oggi Arras, il 26 marzo 1748, da un famiglia di piccoli contadini-commercianti del Nord della Francia, primo di quindici figli. 1)

Dopo i primi anni trascorsi in famiglia, si trasferì presso uno zio, parroco di Erin, piccolo borgo vicino al paese natale. Lì iniziò la formazione che, nelle intenzioni della famiglia, lo avrebbe dovuto condurre tra le file del clero secolare. A quegli anni risalgono lo studio del latino e delle Sacre Scritture e le letture nella biblioteca dello zio, che lo porteranno a maturare una vocazione monastica mai realizzata. Benedetto infatti aveva sognato di entrare nella Trappa, malgrado le perplessità dello zio e lo sconcerto della famiglia, che cercavano di dissuaderlo.

Quando lo zio morì, per un’epidemia di tifo durante la quale si era prodigato per i suoi parrocchiani, Benedetto si sentì libero di seguire quella che credeva essere la sua vocazione. Ma i suoi tentativi di essere accettato nei monasteri della sua regione non ebbero esito: troppo giovane, troppo scrupoloso, ripetono gli abati.

Nel 1769 è infine ammesso nella Certosa di Montreuil-sur-Mer, ma vi resta solo un mese e quando esce, così scrive ai genitori: “Mio carissimo padre e mia carissima madre. Vi informo che non avendomi i Certosini giudicato adatto alla loro condizione, io ne sono uscito il due di ottobre; io considero la cosa come un ordine della Divina Provvidenza che mi chiama a uno stato più perfetto (...). Dunque mi incammino verso la Trappa, questo luogo che desidero tanto e da tanto tempo.” Dopo un viaggio di 800 chilometri giunge alla Trappa di Sept-Fonts e l’11 novembre prende l’abito di novizio. Ma otto mesi dopo, a seguito di un soggiorno in infermeria e poi all’ospedale esterno, il padre abate gli comunica: “Voi non siete fatto per noi, Dio vi attende altrove.”

“Andare a servire”

 

Incerto e confuso, Bendetto si ricorda di un’espressione ricorrente nel linguaggio del popolo dell’Artois, la sua terra natale: “Bisogna andare a servire”, cioè bisogna intraprendere un pellegrinaggio. Se la terra non produceva frutti, i contadini “andavano a servire” Nostra Signora Dispensiera di pane, nel santuario del borgo di Aire, dove la Vergine aveva miracolosamente nutrito il popolo in tempo di fame. E se qualcuno soffriva di febbre si “andava a servire” santa Isberga, sorella di Carlo Magno, nel santuario eretto in suo onore. Così Benedetto, per far luce sulla strada che Dio aveva in serbo per lui, prese una decisione: “Bisogna andare a servire a Roma, alla tomba degli apostoli”.

Così parte per l’Italia e scrive ancora ai genitori: “(...) avevo ancora la febbre quando sono partito, e la febbre mi ha lasciato al quarto giorno di cammino, e ho preso la via di Roma. Adesso sono quasi a mezza strada. (...)” Non sapeva ancora che Dio aveva in serbo per lui proprio la strada, per fare di lui il pellegrino, l’homo viator per eccellenza.

Il pellegrino

 

Benoît-Joseph Labre si trovò da allora a viaggiare continuamente, per fermarsi, negli ultimi anni, a Roma. Timido, senza possedere nulla, immerso nella preghiera, nella assoluta solitudine, tranne che per la compagnia dei santi che visitava nei santuari, e per l’adorazione dell’Eucarestia presente nelle chiese, iniziò una vita da pellegrino che lo porterà in giro per l’Europa, facendogli percorrere in 14 anni più di 30mila chilometri: Loreto, Assisi, il monte Gargano, Bari, Santiago di Compostela, la Germania. E passò anche da Einsiedeln!

Quando aveva pregato davanti al sepolcro di un santo, raccoglieva un po’ di polvere e la poneva in un sacchetto. Ovunque sono testimoniate tracce e memorie del suo passaggio, è ricordata la sua carità e gli sono attribuiti miracoli. Benedetto portava qualcosa che andava al di là del suo misero aspetto e della durezza con cui trattava il il suo corpo. I sacerdoti che lo vedevano inginocchiato in fondo alla chiesa sentivano un inspiegabile fervore nel celebrare la messa.

 

 

Roma

 

A Roma Benedetto aveva scelto il Colosseo come dimora, dormendo sotto il 43mo arco, alla Va stazione della Via Crucis: forse non a caso, quella in cui Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce.

La giornata era scandita dai gesti della preghiera e dalle strade di Roma, che lo portavano giorno dopo giorno a scegliere i luoghi più cari alla fede del popolo. Questa la testimonianza di un sacerdote che lo conosceva bene: “Ordinariamente lo vedevo andare alla Chiesa dei Santi Apostoli il lunedì, dove vi si dava la benedizione del Santissimo Sacramento; il martedì mattina a quella dei Santi Cosma e Damiano, la sera alla Madonna di Loreto ai Fori Romani; il mercoledì pomeriggio andava a quella del Santissimo Nome di Maria, presso la colonna Traiana; il giovedì e il sabato sera, alla Madonna dei Monti; il venerdì a volte a Sant’Agata di Monti; e la domenica a Santa Maria in Campo Carleo.”

Una donna, Domenica Bravi, che quando Benedetto alloggiava sotto gli archi del  Colosseo gli portava uova fresche e aranci, una volta gli aveva detto: “Com’è bello conoscere Dio con la fede e amarlo con la carità!” Quelle parole avevano riempito di gioia il povero.

 

Nel 1774, il difficile conclave per designare il successore di Clemente XIV durò più di quattro mesi. Domenica incontrava Benedetto a San Paolo fuori le Mura e gli diceva: “Benedetto, è un momento grave quello in cui si sceglie un Papa. Pregate per la Chiesa, la Chiesa di Cristo.” A queste parole il povero si trasfigurava. Immobile e triste come un mendicante di pietra, raggiungeva l’apice della sua orazione. E Domenica aveva compreso allora - al suo modo di plebea incolta - che tra i grandi personaggi che deliberavano in Vaticano e lo straniero di cui ignorava perfino il cognome, esisteva un legame essenziale, indistruttibile. La Chiesa, la Chiesa di Cristo riposava su questo anacoreta.

 

 

La devozione del popolo

 

Gli ultimi giorni della sua vita furono proprio quelli della Settimana Santa. Domenica Bravi lo incontrò la domenica delle Palme, mentre camminava a stento dalla spianata deserta di San Giovanni in Laterano verso Santa Croce, per venerare le reliquie della Passione: era l’ultima volta che lo vedeva.

Il mattino del mercoledì santo Benedetto era riuscito a malapena, fiaccato nel corpo, a trascinarsi dall’ospizio Mancini (dove si accoglievano i molti vagabondi che affollavano la città di Roma e dove era stato accolto dall’abate Mancini) alla chiesa di Santa Maria ai Monti per ascoltare il racconto della Passione. All’uscita, Benedetto si accasciò sulle scale della chiesa e fu portato in casa del macellaio Zaccarelli, che conosceva bene il pellegrino e abitava nei pressi della chiesa, in via dei Serpenti. Lì, nell’ora del Vespro, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, Benedetto spirò.

La sera del mercoledì santo, a Loreto, Gaudenzio e Barbara Sori, che avevano spesso alloggiato Benedetto nei suoi pellegrinaggi, spiavano l’arrivo del pellegrino, ricordandosi che quella era la stagione dei suoi viaggi. Ma il loro piccolo Giuseppe disse: “Benedetto non verrà più: sta morendo.” I genitori non dettero importanza a questo divagare infantile e scrutavano la strada caduta nell’ombra. Ma il bambino ripeteva: “Benedetto muore, è morto.” Questa volta il piccolo si prese un rabbuffo. Tuttavia quando, divenuto più grave per la sua età, aggiunse: “Benedetto è entrato in Paradiso, il cuore me lo dice”, Gaudenzio e Barbara non lo rimproverarono più, ma rifletterono e piansero.

Le reazioni dei vari ambienti

 

Il periodico dell’epoca, Diario Romano, così annota la morte di Benedetto: “Muore il 16 aprile 1783 Benedetto Giuseppe Labre, nato ad Amettes, parrocchia di San Sulpizio, diocesi di Boulogne. Si è sentito male mentre pregava nella chiesa della Madonna dei Monti e poco dopo, benché soccorso da alcuni fedeli, è morto. Esposto nella detta chiesa, viene sepolto il 20 in un cavo appositamente fatto a lato dell’altar maggiore, fra la venerazione di tutto il popolo romano.”

Il cardinale De Bernis, ambasciatore di sua maestà il re di Francia presso lo Stato Pontificio, redigendo il 30 aprile una nota informativa da inviare a Versailles al ministro degli esteri, così si esprime: “Noi abbiamo qui, dal 16 di questo mese, in una chiesa di questa città, uno spettacolo che edifica gli uni e scandalizza gli altri...” Non ci si spiega quel concorso di folla (pare che neppure ai funerali di san Filipo Neri si ricordava una simile partecipazione di popolo!) venuta ad onorare uno “straccione”, che aveva trascorso la vita sulle strade, visitando continuamente chiese e santuari. Si sospetta che i Gesuiti, al cui ordine apparteneva il confessore di Benedetto Labre, soppressi qualche anno prima da Clemente XIV su pressione delle corti di mezza Europa, avessero inscenato questa “pia commedia”, che si sperava finisse presto.

Invece la devozione per Benedetto continuò e si diffuse arrivando nelle sue terre, da cui era partito quattordici anni prima. Il 3 maggio, un medico di Roma, così scriveva alla sorella, religiosa al carmelo di Cavaillon, in Francia: “I muti parlano, i ciechi vedono, i paralitici e gli idropici sono immediatamente guariti. Domenica scorsa una povera donna idropica fu guarita sulla stessa pietra che copertine/copre la tomba. Gli increduli, come gli altri, si commuovono fino alle lacrime. Nessuno ha mai visto nulla di simile. Ma ci vuole una fortissima sorveglianza per fermare il popolo.” Il suo corpo dovette essere difeso dalla ressa della folla, disposta anche a ricevere bastonate pur di riuscire a toccare “il santo”.

Malgrado le manovre del cardinal de Bernis per bloccare un possibile inizio della causa di canonizzazione, Benedetto Giuseppe Labre fu infine beatificato nel 1853 e canonizzato da Leone XIII l’8 dicembre del 1881.

Conclude il curatore della presentazione di Benedetto Labre nel Grande Libro dei Santi: “La canonizzazione non è mai casuale e Leone XIII, un secolo dopo (la morte di Bendetto n.d.r.) , nel farlo santo ha voluto offrire alla Chiesa universale un modello utile e significativo per quelle generazioni di credenti che si trovavano per la prima volta di fronte al problema della separazione tra Chiesa e Stato: un ‘santo barbone’ rappresentava un modello nuovo per una società occidentale che avrebbe conosciuto di lì a poco una scristianizzazione crescente.”

 

1) Le notizie sono prese da AAVV - Il grande libro dei santi, Ed. San Paolo, 1998 - Vol. I, pp. 287-289 e da “Benedetto Labre a Roma” in 30giorni, n. 1 - gennaio 2000, pp. 68-76